mercoledì 11 maggio 2011

Mantova, perdite dai serbatoi. Intanto in giunta è il caos


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Valerio Ceva Grimaldi
POLO CHIMICO. Il dirigente Asl Arvati aveva escluso sversamenti tuttora in corso dalla raffineria. Un nuovo sopralluogo lo smentisce. De Togni (Ambiente): «Preoccupa la lentezza dei miglioramenti». Il sindaco Sodano: «No, l’azienda collabora».
I veleni del Petrolchimico di Mantova continuano a inquinare. E a contaminare i terreni, l’acqua, l’aria. Uno stillicidio ambientale accompagnato da tassi d’insorgenza di malattie strettamente legate al rilascio di sostanze cancerogene. L’Asl locale da anni ha istituito un Osservatorio epidemiologico per valutare i rischi sulla salute e portare avanti studi promossi anche insieme a Istituti internazionali. Struttura con la quale l’amministrazione comunale aveva fattivamente collaborato, come conferma l’assessore comunale all’Urbanistica e alla riqualificazione ambientale Anna Maria De Togni, rappresentante di una lista civica: «Il Comune nel 2010 ha contribuito a completare un’indagine coordinata dall’Osservatorio del dottor Ricci. Struttura che promuove iniziative necessarie, condotte con grande professionalità». Mantova, infatti, ha un Sito inquinato di Interesse nazionale, il polo chimico, riconosciuto nel 2003. Dove la vigilanza delle autorità sanitarie deve essere altissima. Ma ora la struttura di Ricci rischia di essere drasticamente ridimensionata. E ora si scopre che i serbatoi di petrolio hanno delle perdite.

All’atto del suo insediamento, all’inizio dell’anno, il nuovo direttore generale dell’Asl, l’ingegner Mauro Borelli, ha trasferito la responsabile della Banca dati dell’Osservatorio e annunciato un accorpamento con Cremona. Ed è lo stesso Borelli che, in un’audizione del 9 febbraio scorso con la Commissione parlamentare ecomafie, in missione a Mantova sui rischi per la salute in città causati dalla presenza del Polo chimico, aveva dichiarato: «Sono stati fatti degli esami, ma non è stato riscontrato nessun aumento dei tumori o cose di questo genere». Eppure è proprio l’Asl da lui diretta che, in collaborazione con l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), ha stabilito in uno studio pubblicato tempo fa che «per chi è stato residente nel raggio di 2 chilometri dal petrolchimico tra il 1960 ed il 1990 la probabilità di ammalarsi di sarcoma dei tessuti molli, che la letteratura scientifica associa all’esposizione a diossine, è oltre 30 volte più elevata di chi ha abitato nel centro città».

Inoltre, secondo ulteriori dati della stessa Asl, in città, specie nell’Alto mantovano, il tasso di tumori maligni è più alto del 6,4% rispetto alla media cittadina. Ancora: c’è uno studio sulle malformazioni congenite della provincia di Mantova che ha evidenziato una frequenza doppia rispetto a quella della confinante Emilia Romagna, con particolare riferimento ai quartieri del Comune raggiunti dall’impatto ambientale del Petrolchimico, dove i risultati preliminari evidenziano un rischio triplo di essere colpiti da malformazioni congenite rispetto ai comuni confinanti. Come se non bastasse, c’è pure uno studio di monitoraggio biologico condotto su di un campione di residenti, rappresentativo della distribuzione dei casi di sarcoma dei tessuti molli, che ha evidenziato come la concentrazione plasmatica di diossine cresca tra i residenti progressivamente con l’avvicinarsi della loro abitazione principale (per durata) al Petrolchimico.


Ma allora perché si sta depotenziando la struttura di Ricci? 
«Secondo me è una questione politica», rivela De Togni. «Non ne vedo altri, di motivi. I monitoraggi sono indispensabili sui parametri di acqua e terreni: la tutela della salute è una priorità. Se l’Asl non ha quella funzione non capisco che prevenzione possa fare. La verità è che sono sempre notizie scomode quelle che possono provenire da qui. Io ho lavorato negli ospedali negli anni 70 e 80 e ho visto che quando le strutture diventavano mega erano sempre meno efficienti. Con la provincia di Cremona, peraltro, non abbiamo legami particolari». Anche l’assessore Giampaolo Benedini tuona: altro che salute dei cittadini, l’attacco all’Osservatorio risente di «equilibri politici. In questo momento, dal Comune non è stato affrontato il problema. Noi lo porteremo in giunta, ma non so quale sarà l’esito. Ma è il sindaco che deve affrontare la questione e che dovrebbe tutelare la salute dei cittadini». Giá. Il sindaco Nicola Sodano, Pdl, interpellato da Terra, innanzitutto esprime «stima personale per Borelli: sicuramente se ha fatto questo è perché ci sono delle esigenze di razionalizzazione. Non credo sia un fatto in grado di provocare ritorni negativi per il territorio». Intanto, la struttura è già stata depotenziata. E Ricci è sempre più isolato. Il primo cittadino, però, la vede diversamente dai suoi colleghi di giunta. Si dice sì «molto preoccupato per l’inquinamento e la salute», ma perché «alcune volte i dati contrastanti offerti dagli enti deputati al controllo creano imbarazzo anche nel primo cittadino mantovano».

Eppure gli studi appaiono omogenei tra loro, tanto è vero che la zona è stata dichiarata Sito inquinato di interesse nazionale, a rischio per la salute. Oltre alle emissioni, infatti, nel sottosuolo è stato trovato un lago di surnatante, un composto di oli e idrocarburi, vasto circa 150mila metri quadri (la stima è del presidente della Provincia di Mantova, Maurizio Fontanili). Ma da dove proviene tutto questo veleno? Dalle produzioni di tanti anni fa, certo. Ma c’è il sospetto che i contaminanti vengano sversati ancora oggi. Che esistano, cioè, fonti attive d’inquinamento. Verificare la persistenza di  sversamenti ancora in corso rappresenta, infatti, uno snodo fondamentale per attribuire precisi obblighi e responsabilità giuridiche. “Chi inquina paga”, è il principio di legge vigente. Troppo spesso, però, il confronto con le aziende presunte inquinatrici è assai difficoltoso. E, di fatto, in punta di diritto diventa quasi impossibile individuare chi è stato a far cosa. E così nessuno si accolla gli oneri delle bonifiche. Che, infatti, a Mantova non sono mai partite. Sono state installate solo alcune pompe di aspirazione del surnatante. Ma in maniera ancora assolutamente insufficiente.

«Il Comune è molto preoccupato per lo stato di lentezza con cui vengono risolti i problemi del Petrolchimico», rivela l’assessore De Togni. Di altro avviso il sindaco Sodano: «Il Petrolchimico è collaborativo con il Comune. Io ho un riscontro positivo da parte dei corpi dirigenti. Solo con la collaborazione tra enti pubblici e i dirigenti delle fabbriche si può pensare di imboccare un percorso che vada verso la soluzione dei problemi. Tutte le altre strade rappresentano scorciatoie demagogiche che forse ingrossano il consenso elettorale di qualche lista o listarella ma che non portano beneficio alla collettività mantovana». Il riferimento, nemmeno troppo velato, è proprio alla lista civica (alleata) di Benedini e De Togni, nel cui programma elettorale c’è una linea assai critica nei confronti del Petrolchimico. Sodano ricorda che «il Consiglio comunale, in maniera bipartisan, ha approvato un ordine del giorno che chiede al governo e al ministero competente di nominare il sindaco di Mantova quale commissario ad acta per i provvedimenti sul Polo chimico». Anche il dg Borelli sollecita azioni immediate e la nomina di un commissario straordinario. «Tutto quello che c’è sotto al Polo chimico - dice alla Commissione ecomafie - comincia veramente a scivolare, ossia ad entrare nelle falde, non solo in quelle superficiali ma anche in quelle profonde. E fra un po’ arriverà anche nel fiume Mincio». Moltiplicando i rischi per la salute dei mantovani. Che, però, verranno monitorati non più da un Osservatorio specifico, ma da una struttura indebolita numericamente e in comune con Cremona.

Intanto, i vertici della raffineria Ies, tra gli impianti piú grandi del Polo chimico e che di recente ha ulteriormente aumentato la produzione, hanno garantito a più riprese di stare facendo tutto il possibile per la riduzione dell’impatto ambientale e del lago venefico presente sotto i propri stabilimenti. L’ad Zsolt Szalay ha annunciato alla Gazzetta di Mantova anche l’installazione dei doppi fondi dei serbatoi. «Ma ci vorranno anni. In ogni caso, non siamo una fonte attiva di inquinamento». Ciò vorrebbe dire che i pericoli per l’ambiente e la salute sono legati solo alle sostanze sedimentate negli anni passati. Eppure è stato provato che la massa di surnatante continua a muoversi e ad allargarsi. La stessa Commissione ecomafie, nel corso della sua audizione, ha incalzato molto su questo punto. Ecco come risponde Massimo Arvati, dirigente del dipartimento prevenzione medica dell’Asl: «Io mi sento di escludere categoricamente che, ad oggi, ci siano fonti di inquinamento attivo dai serbatoi della raffineria». Una sicurezza che, però, appare fragile. Carabinieri, Arpa, il presidente della Provincia Maurizio Fontanili e altri enti, osserva il parlamentare Giovanni Fava, componente della Commissione, riferiscono che la Ies è considerabile, insieme ad altre realtà, fonte attiva d’inquinamento. Sul caso, peraltro, è in arrivo un grappolo di interrogazioni parlamentari.

E ora, ad avvalorare la tesi della presenza di sversamenti tuttora attivi nel sottosuolo del polo chimico mantovano, arriva l’esito di un sopralluogo al serbatoio S9 della Ies, effettuato appena tre giorni fa da Arpa, Asl, tecnici, lavoratori e vertici della raffineria. Secondo quanto Terra è stata in grado di apprendere, il serbatoio di circa 45mila metri cubi è stato del tutto svuotato e aperto: il fondo sarebbe stato trovato arrugginito e con perforazioni, attraverso le quali veniva rilasciato del greggio nel terreno e nelle falde. Per non parlare delle condutture interrate sotto gli impianti, che non sono ispezionabili con sistemi georadar (come l’azienda ha già fatto per monitorare lo stato delle altre condutture, su cui si sta intervenendo perché trovate in cattive condizioni, usurate e perforate in più punti). In questo caso, è verosimile che le tubazioni “irraggiungibili” siano anch’esse soggette a perdite di idrocarburi che alimentano il lago di liquidi velenosi che galleggia sotto lo stabilimento. Questa rete di collegamenti sotterranei andrebbe chiusa e sostituita con linee aeree per avere la certezza di non avere più perdite e di fermare l’avanzata del surnatante. Quanto ai serbatoi, un’analoga verifica, dell’ottobre scorso, aveva avuto esiti identici. In quell’occasione, la Ies aveva garantito interventi immediati e risolutivi delle criticità. Che evidentemente persistono, con annessi rischi per la salute, ancora oggi. Alla faccia della “collaborazione” sbandierata dal sindaco aspirante commissario ad acta.

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