| Fonte:http://www.lastampa.it Dopo gli scontri sociali in Tunisia, il governo cerca il controllo del web. Chiusi blog e gruppi Facebook, e rubate le password di accesso a Gmail e Yahoo | |
| CLAUDIO LEONARDI | |
In Tunisia il conflitto si è acceso prima di Natale, ma le notizie cominciano ad arrivare in queste settimane. E' il frutto di una politica di censura che ha come principale obiettivo il web. Facebook, blog e siti dissidenti sono nel mirino del governo tunisino di Ben Ali, in carica dal novembre 1987. La vittima più illustre della reprssione è il cantante rap Hamada Ben-Amor (http://af.reuters.com/article/topNews/idAFJOE7060C320110107), che ha diffuso in rete un video in cui criticava aspramente l'operato dell'esecutivo. Il suo arresto è la punta dell'iceberg di una serie di interventi che puntano a mettere la sordina alla protesta online. Nei giorni scorsi, le autorità tunisine hanno reso insicuro il collegamento a Facebook, impedendo l'uso del protocollo htttps che mette al riparo da intromissioni e attività spionistiche. E' di oggi la notizia che il principale fornitore di accesso a Internet in Tunisia, l'ATI (Agence Tunisienne d'Internet), gestita dal ministero delle comunicazioni locale, starebbe rubando le password usate dagli utenti per collegarsi a Google, Facebook e Yahoo. L'ATI, secondo il sito The Tech Herald (http://www.thetechherald.com/article.php/201101/6651/Tunisian-government-harvesting-usernames-and-passwords), opererebbe attarverso una vera e propria operazione di hacking, inserendo un codice nascosto in grado di intercettare le credenziali degli utenti. Ma anche i sostenitori della protesta non stanno a guardare. Il gruppo Anonymus, già noto per avere intrapreso attacchi informatici contro Visa, Mastercard e PayPal nell'ambito del caso Wikileaks, ha rivendicato il sabotaggio dei principali siti governativi tunisini. “Il governo tunisino, diretto da Ben Ali, ha mostrato un livello di censura oltraggioso - si legge in un comunicato di Anoymus - bloccando non solo i siti dissidenti, ma anche risorse come Flickr e tutte le fonti di informazione che menzionavano Wikileaks”. Risultato: fino a mercoledì i siti ministeriali e quello della banca Zitouna erano inaccessibili. Le autorità hanno comunicato che sarebbe stato il governo stesso a metterli offline per ripristinarne i contenuti, manipolati e modificati precedentemente dagli hacker con azioni di “defacement”. La tensione in rete, e nelle strade, è esplosa dopo la tragica vicenda del venditore di legumi Mohamed Bouazizi. L'ambulante senza licenza si è cosparso di benzina e si è dato fuoco nella città di Sidi Bouzid, il 17 dicembre, per rivendicare il proprio diritto al commercio, ed è morto per le ferite quattro giorni fa. Su Facebook si sono immediatamente organizzati cortei e proteste in diverse città del Paese. Un manifestante è morto il 22 dicembre, colpito dalla polizia. Sul social network rimbalzavano appelli e parole d'ordine, che le autorità hanno deciso di censurare. Dallo scoppio della rivolta, il giro di vite avrebbe riguardato almeno 100 pagine personali e di gruppi d'opposizione, tra cui il gruppo Dibattito Tunisia legato all'omonimo sito satirico (http://debatunisie.canalblog.com). Il gruppo su Facebook, in lingua araba, “Signor presidente, i tunisini si immolano con il fuoco”, sembra raccogliesse 12 mila iscritti. La censura sul web del generale Ben Ali, tuttavia, non nasce in questi giorni. Già nel 2005 l'ICANN, l'organizzazione che si occupa dell'assegnazione dei nomi a dominio di internet, scelse Tunisi per il proprio summit internazionale. I dissidenti locali, nonché associazioni come Reporters sans frontières, organizzarono un contro-summit, per denunciare la gravissima situazione di censura su internet nel paese del Nord Africa. I siti italiani di Lettera 22 e Amisnet, attivi sul fronte dei diritti online, vennero oscurati in quei giorni dalle autorità tunisine. I fatti di oggi, in Algeria e Tunisia, restituiscono il contraddittorio ritratto del nostro mondo. Rivolte per il pane, di manzoniana memoria, e duelli virtuali per il controllo del cyberspazio. Le conquiste della tecnologia, lo sapevamo, non azzerano i problemi fondamentali dell'economia, della sussistenza, della fame. Ma è anche sempre più chiaro che la rete è il centro di smistamento della protesta, ed è un'opportunità nuova di mostrare limiti e malefatte dei governi, democratici o dispotici che siano. Una rete più libera forse non darà il pane a chi ne ha bisogno, ma può collegare tutti gli uomini nello sforzo perché questo, un giorno, possa avvenire. | |
sabato 8 gennaio 2011
La battaglia per il pane si combatte su Internet
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