Shahd Abusalama : Traversie di una palestinese di Gaza per andare a Gerusalemme
venerdì 17 giugno 2011
E’ come un obbligo per ogni palestinese, e in particolar modo per ogni gazawi, da compiere prima di lasciare i confini dei Territori Occupati: l’obbligo di venire insultato e umiliato, senza dire mai una parola. Quattro ore di attesa per ottenere l’autorizzazione sono durate quanto quattro anni. L’emozione che provavo non ha reso la situazione più facile. Me ne stavo seduta con i miei amici che erano stati accettati a un programma dirigenziale negli USA quando un palestinese che lavorava al confine di Beit Hanoun ci disse di prepararci per partire. Nessuna parola potrebbe descrivere quello che provai in quel momento. “Oh, sia grazie a te Dio. Finalmente stiamo passando!” Gridai. Ero semplicemente impazzita e dall’indescrivibile felicità cominciai a saltare, dimentica di tutti quelli che mi stavano attorno. I miei passi erano troppo lunghi e non riuscivo a respirare. Tutto quello che riuscivo a pensare era che volevo arrivare il più velocemente possibile. Non sapevo che cosa mi aspettava dopo aver percorso il lungo tratto che separa Gaza da Erez.
Non appena attraversai il primo posto di controllo, il campanello d’allarme suonò. Cominciai a sentirmi preoccupata, ma uno degli amici mi disse che era dovuto al fatto che nella mia borsa c’era un computer portatile. Il vedere alcuni palestinesi che lavoravano là mi aiutò a rilassarmi. Uno di loro mi disse di non preoccuparmi perché era normale. Me lo prese e mi chiese di entrare nuovamente nella porta di controllo. Lo feci mentre i mio cuore batteva veloce. Dopo di che venimmo fatti passare attraverso una gran quantità di porte, una dopo l’altra. I miei occhi attendevano con eccitazione di vedere le luci verdi. Raggiunsi un punto dove dovevo stare in piedi in un modo preciso. Cercai di mostrare che non avevo avuto paura. Vidi la luce verde e mi permisero di passare. Allora feci un profondo respiro, avevo tanta fretta! Purtroppo, sentii qualcosa in ebraico dagli altoparlanti che erano sparsi a giro tutt’attorno. Poi un vecchio palestinese che aveva il compito di mostrare ai viaggiatori dove era stato urlato ad alta voce di andare, richiamandomi. “Figlia mia, non so quale problema tu abbia”, disse con le sopracciglia alte a mostrare sorpresa e preoccupazione. “Ritorna allo stesso cancello di prima e fa quel che ti dico di fare,” proseguì. Non riuscivo più a nascondere il mio panico. Feci come mi fu detto, ma sul mio volto erano evidenti segni di preoccupazione. “Sorridi, altrimenti la foto verrà scura,” disse per scherzo il palestinese per ridurre la mia preoccupazioneMi chiedevo perché tutti gli altri stavano avendo meno difficoltà nel passare di me, ma non sapevo dare una risposta alla mia domanda. Pensai che non poteva esserci nulla di peggio rispetto a quando oltrepassai quel sinistro cancello. Ancora una volta mi sbagliai. Mi mandarono a un posto di controllo speciale, mi venne ordinato di entrare in una stanza vuota con una finestra a vetri e un tavolo con un microfono e una sedia vuota dietro di esso. Stavo per piangere, ma cercai di rimettermi in sesto perché ritenni che ciò che avrebbe fatto loro piacere era vedermi crollare. Continuai a stare in piedi e non feci altro che aspettare. Ero del tutto tranquilla e non avevo idea alcuna di che cosa sarebbe successo dopo. Improvvisamente, mentre guardavo a giro il posto a caso, una soldatessa israeliana si sedette sulla seggiola. “Devi fare esattamente quello che ti dico,” disse. “Togliti i pantaloni,” continuò con voce dura e forte. La guardai con sorpresa, chiedendole se faceva sul serio. Lei ripeté la stessa frase con un tono di voce più alto. Non potevo fare appello ad alcuna reazione, ma lo stesso sguardo perplesso. “E’ un ordine!” urlò e continuò, “Non devi preoccuparti perché qui ci siamo solo tu ed io.” Tenni la testa alta e me li tolsi, per l’ostinazione di trasformare il mio sogno di recarmi a Gerusalemme in realtà. Mi ordinò di girarmi e quindi mi strappò la maglietta. Come mi aveva ordinato, misi la mia roba in un contenitore perché venisse controllata, poi mi venne resa per vestirmi di nuovo.
Ti scrivo dal momento che mi sento così depressa. Forse qualcuno potrebbe pensare che non dovrei parlare di queste cose, ma devo farlo. La gente deve sapere quanto siamo umiliati , quanto veniamo trattati male, come se noi fossimo meno di esseri umani. A che cos’è servito farlo? Ovviamente a nulla! Per quale motivo scelsero me in modo particolare? Per nessuna ragione! Desideravano solo godersi l’infliggere tormenti psicologici a qualcuno, e la sorte cadde su di me. Ho cercato di mantenermi forte, ma questa esperienza ha lasciato un profondo dolore dentro di me.
Tutti i miei amici passarono più facilmente di me. Mi aspettarono dall’altra parte. Appena mi unii di nuovo a loro, mi sentii molto meglio. Decisi di vivere al momento e di non permettere che qualcuno rovinasse la mia felicità di aver raggiunto alfine l’autobus dell’ambasciata americana che era stato ad aspettare quattro ore per portarci a Gerusalemme.
Per sentirmi rilassata è stato sufficiente solo che respirassi a pieni polmoni l’aria fresca delle terre dall’altra parte del confine di Erez. Era una sensazione speciale. Salimmo sull’autobus che ci condusse a Gerusalemme. Attraverso i finestrini continuai a guardare i luoghi che ci circondavano. Ero stupita. Ovunque rivolgevo gli occhi vedevo una natura fantastica. Bramavano tali visioni con un sì grande ardore. Mi guardavo attorno per non perdere nessuna di quelle bellezze: le colline, le montagne sabbiose e rocciose, i campi verdeggianti, gli alberi enormi e i fiori colorati. Lungo la strada che portava da Erez a Gerusalemme, come se riflettessi la natura, cantai la canzone di Fairuz sulle strade della vecchia città santa, sentendomi così felice di averlo fatto, a dispetto delle difficoltà attraverso le quali ero passata. L’autista che era originario di Gerusalemme, notò il mio libro di pittura e mi fece domande al proposito. “Sono un’artista e ho sempre desiderato di disegnare un giorno la cupola della moschea di Al-Aqsa di persona. Così spero che questa sarà l’occasione per farlo, “ dissi. “Non fantasticare troppo. Devo scaricarvi all’Ambasciata americana, e immediatamente dopo la conclusione del vostro colloquio per il visto, vi riporterò al valico di Erez,” replicò. Dopo che avevo pensato che tutto si sarebbe concluso bene, ancora una volta mi ero sbagliata. Non lo biasimo, in quanto ha semplicemente seguito gli ordini ricevuti dall’ambasciata. Anche se vivere come uno straniero nella mia patria è una situazione che mi addolora. Appena uscii dall’autobus e scesi a terra, cominciai a saltare sentendomi felice di essere sulla Terra Santa. Tutto andò in modo perfetto nel colloquio per il visto e grazie a dio l’ottenni. Non volevo andare fuori davanti all’ambasciata dove ci avrebbero poi ripresi per ritornare. Alla fine, dovemmo salire sull’autobus e fui abbastanza felice di poter prendere due magnifici fiori rossi con me.Erano talmente rigorosi da volerci portare direttamente a Erez, ma l’autista provava simpatia per noi e riuscivo a capire che cosa provava per degli abitanti di Gaza che, per la prima volta nella loro vita, erano a Gerusalemme, e raggiungerla senza poter vedere il Duomo della Roccia e la moschea di Al-Aqsa. Alla fine disse che avrebbe solo potuto percorrere una strada che ci avrebbe permesso di vedere il panorama. La vidi da così lontano, proprio come si vede nella foto, proprio come una scena incredibilmente bella che i miei occhi non potevano smettere di guardare. E’ come una magia. Rimirare quel panorama, e il fatto che non potevamo avvicinarci di più, e anche che non potevamo aprire il finestrino e sporgere fuori la testa, fu per me una grande emozione.
Devo partire, mi dispiace,” disse l’autista con voce spezzata. Volsi la testa verso la cupola fino a che non scomparve in lontananza, lasciando dietro di se un lungo silenzio. Mi sedetti in un posto vuoto sul fondo dell’autobus e mi stesi, chiudendo gli occhi e lasciando che la mia anima volasse sopra la cupola di Gerusalemme. Con un misto di sentimenti mi addormentai. Mi svegliai quando arrivammo a Erez e ora dalla mia stanza di Gaza ti scrivo del mio viaggio a Gerusalemme
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