martedì 8 marzo 2011

Anti-terrorismo e sommosse in Nord Africa

I leader nord-africani hanno collaborato con l’Occidente contro islamisti e migranti – con il risultato di divenire molto più repressivi.
Anti-terrorismo e sommosse in Nord Africa


Tradotto da  Curzio Bettio



La filza di sommosse in Africa del Nord hanno posto a nudo i rapporti dei governi occidentali con i regimi della regione, e gli attivisti pro-democrazia denunciano da tempo queste relazioni intrecciate su anti-terrorismo, immigrazione e petrolio.
Muammar Gheddafi, leader libico, sembra essere sul punto di andare a raggiungere Zine El Abidine Ben Ali di Tunisia e Hosni Mubarak dell’Egitto - entrambi spodestati dal loro popolo. In Algeria, intanto, il governo di Abdelaziz Bouteflika sta tenendo duro, con la repressione delle proteste e attuando riforme limitate, nel tentativo di placare la rabbia anti-regime.
I quattro uomini hanno collaborato a vario livello con l’Occidente nel periodo dopo l’11 settembre,  offrendo i loro servizi contro ciò che veniva percepito come una duplice minaccia, dall’Islam politico e dall’immigrazione dal continente africano verso l’Europa.
Salima Ghezali, una famosa giornalista algerina e attivista per i diritti, afferma che i politici hanno utilizzato queste presunte minacce per giustificare la violenza dello Stato. Lei sostiene che le élite in Occidente hanno tentato di distrarre gli elettori giocando sulle minacce alla sicurezza, eludendo così la messa in discussione dei loro sistemi economici. I loro omologhi nel mondo in via di sviluppo hanno usato gli stessi argomenti per distogliere l’attenzione dal “caos istituzionale”.
La Ghezali afferma: “È questo caos che sta provocando e alimentando la rabbia del popolo. Focalizzando l’attenzione sulla sicurezza, i dirigenti politici hanno trovato il modo per legittimare la violenza di Stato, negare diritti e libertà, e per trascurare la gestione delle problematiche politiche e sociali. Perfino la violenza è diventata un mezzo di promozione sociale e politica. Assassini sono diventati eroi e detengono il potere nelle istituzioni pubbliche.”
Jeremy Keenan, un professore ricercatore associato presso la Scuola di Studi Orientali e Africani di Londra, concorda sul fatto che le rivolte sono, in qualche modo, legate all’imposizione di politiche anti-terrorismo: “Credo che la sindrome guerra al terrorismo nel suo complesso abbia avuto un ruolo potenzialmente significativo in quello che stiamo assistendo oggi. Questi Stati sono diventati più repressivi, assumendo consapevolmente il ruolo di baluardo dell’Occidente.”
 
Le forze di sicurezza in Tunisia e in altri paesi del Nord Africa sono state armate e hanno ricevuto incentivi per divenire più repressive in nome della lotta contro “il terrorismo”. Questo denunciano gli analisti. Foto: la famigerata Dakhlia, il Ministero degli Interni, a Tunisi [EPA]
 
Sconnessione demografica
Molti giovani manifestanti non sono più disposti a sopportare l’idea che i loro leader usino l’ideologia anti-colonialista per giustificare il loro potere politico.
Lungi dal combattere l’imperialismo, questi leader, così affermano i loro oppositori, sono stati complici con l’Occidente: in qualità di torturatori per conto dell’Occidente, comprando le sue armi, e pattugliando il Mediterraneo per arginare la marea di giovani disperati che abbandonavano le loro patrie.
Tutti hanno collaborato con la CIA nel controverso “programma di extraordinary rendition (consegne straordinarie, veri e propri rapimenti internazionali)”, e la Libia è stato un partner superattivo nell’accordo segreto Roma-Tripoli, firmato nel 2009, per intercettare le barche che trasportano i migranti. In cambio del pattugliamento del mare, l’Italia si è impegnata a versare alla Libia 7 miliardi di dollari per oltre 20 anni.
Salima Ghezali spiega: “La generazione di giovani Algerini, e anche i non-così-giovani, non hanno alcuna illusione circa le dichiarazioni dei loro leader. Pur essendo scettici sulle inclinazioni ideologiche dei loro governanti, i giovani ancora rispettano le autentiche icone della Guerra di Indipendenza Algerina. In Libia, i manifestanti anti-governativi hanno preso a sventolare la bandiera post-indipendenza e pre-Gheddafi - un riferimento alla lotta del paese contro la dominazione coloniale.”
Con l’eccezione di Ben Ali, tutti questi capi hanno assunto il governo da prima che la maggior parte del loro popolo venisse al mondo. Bouteflika, per esempio, è diventato ministro nel 1962, ma governa un paese dove l’età media si aggira intorno ai 27 anni, secondo il CIA World Factbook. Gheddafi ha preso il potere nel 1969, mentre l’età media per i Libici è di soli 24 anni. [N.d.tr.: Il CIA World Factbook è una pubblicazione annuale della CIA che riporta i dati statistici fondamentali e una sintesi di informazioni riguardanti tutti i paesi del mondo. Inizialmente la pubblicazione era destinata esclusivamente ai dipendenti di organi governativi degli Stati Uniti, venne pubblicata per la prima volta nel 1962 come documento riservato. Dal 1971 ne esiste una versione pubblica.]
 
Si gioca la “carta islamista”
I leader della regione hanno ripetutamente cercato di dipingere l’attuale ondata di rivolte, come in qualche modo connesse al terrorismo.
In un rapporto di recente pubblicazione, Martin Scheinin, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti umani nella lotta al terrorismo, espone minuziosamente come leggi e le politiche antiterrorismo della Tunisia hanno giocato un ruolo centrale nell’annientare l’opposizione politica da parte del precedente governo.
E, come nota Scheinin in un’intervista ad Al Jazeera, questo era il vero linguaggio con cui Ben Ali si rivolgeva a chi lo interpellava sulla rivolta tunisina:  
“Penso che sia importante sapere che quando la gente ha cominciato a ribellarsi in Tunisia, la reazione iniziale da parte del presidente e del governo è stata quella di definirli terroristi.”
Il 10 gennaio, due giorni dopo che le forze di sicurezza tunisine avevano cominciato ad uccidere deliberatamente i manifestanti nel centro del paese, Ben Ali accusava i manifestanti di “atti terroristici imperdonabili”.
Il figlio del leader libico, Saadi Gheddafi, mercoledì (23 febbraio) ha dichiarato al “Financial Times” che i bombardamenti nella parte orientale della Libia erano necessari perché “migliaia” di combattenti di al-Qaeda stavano prendendo il controllo della regione. Nella notte di giovedì (24 febbraio), suo padre elaborava queste affermazioni in un discorso, accusando Osama bin Laden di lavare il cervello dei giovani della Libia, anche drogandoli.
Salima Ghezali sottolinea come le minacce più recenti di Gheddafi, di porre fine alla sua cooperazione in materia di immigrazione, così come i suoi tentativi di addossare le sommosse ad al-Qaeda, costituiscono un esempio particolarmente “grottesco” di ciò che è diventato una specie ormai consueta di ricatto.
Gli attivisti tunisini, intervistati da Al Jazeera, hanno addotto come motivazioni che hanno scatenato la loro rivolta la fine della corruzione e della tirannia e il diritto al lavoro, alla democrazia e alla libertà di espressione, mentre i Libici parimenti respingevano l’affermazione di Gheddafi, che fosse Osama bin Laden ad agire per incitare al dissenso contro il suo governo.
Jeremy Keenan ribadisce che l’assenza di ideologia islamista nei movimenti di protesta ha evidenziato la dimensione nel modo in cui la “carta islamica” è stata giocata con sovraesposizione dai politici e dai media : “Queste sommosse non hanno nulla a che fare con l’Islamismo, invece interessano i giovani che si battono per i loro diritti.” “Tutti questi paesi, a vari gradi, hanno esagerato la minaccia del terrorismo”, afferma l’autore di The Dark Sahara: America's War on Terror in Africa – Sahara nero: la guerra dell’America contro il terrorismo in Africa”.
 
La nascita di una ideologia  
Anche se è diventato più marcato dopo l’11 settembre, il timore dell’Occidente per l’ascesa dell’Islam politico nel Nord Africa precede di un decennio la “guerra contro il terrorismo”.
 
Quando l’Algeria ha avviato le prime elezioni democratiche nei primi anni ‘90, il Fronte Islamico di Salvezza (FIS) stava conseguendo una probabile vittoria.
Molti commentatori in Occidente temevano che l’Algeria sarebbe diventata il prossimo Iran, e che l’Islam politico poteva quindi diventare una forza inarrestabile, diffondendosi nei paesi vicini. L’esercito algerino organizzava un colpo di Stato e intraprendeva una “guerra sporca” per purgare il paese dal “Pericolo Verde”. Durante la guerra civile durata i dieci anni che seguirono, venivano massacrati 200.000 Algerini, molti dalle forze di sicurezza, e circa 15.000 venivano fatti scomparire.
I governi occidentali se ne stavano in gran parte in silenzio. Nel caso della Francia, in particolare, il sostegno per la campagna di “estirpazione” era esplicito.
All’inizio del 2001, venivano esercitate pressioni per un’inchiesta, dopo una serie di accuse, sul ruolo delle forze di sicurezza nel promuovere la violenza che stava aumentando, e sul fatto che la dirigenza della sicurezza algerina aveva deliberatamente mentito sul terrorismo, per giustificare la propria violenza.
Poi sono arrivati gli attentati dell’11 settembre, e la “guerra contro il terrorismo”, e i dissidenti algerini, ancora una volta, si sono trovati tagliati fuori.
Salima Ghezali dichiara: “Dopo venti anni di politiche di sicurezza – inclusi 10 anni di guerra - la società algerina è stata gravemente traumatizzata”, ed aggiunge che la mancanza di giustizia o di riconciliazione ha impedito a molti di essere in grado di cambiare.
Al contrario, dopo il 14 gennaio, la Tunisia ha insediato una commissione incaricata di indagare sugli abusi dei diritti umani commessi dalle forze di sicurezza durante la sommossa, e sta cercando di ottenere l’estradizione di Ben Ali dall’Arabia Saudita.
Intanto, il vice ambasciatore della Libia presso le Nazioni Unite chiede al Tribunale Penale Internazionale di mettere sotto indagine Gheddafi per crimini di guerra, mentre Navi Pillay, il responsabile delle Nazioni Unite per i diritti umani, sta sollecitando un’inchiesta internazionale sulle violenze contro i manifestanti.
 
 
Bagaglio ingombrante e scomodo
Il primo suggerimento, che i leader occidentali si mettano in movimento per liberarsi dal bagaglio sempre più ingombrante e scomodo della loro “guerra al terrorismo” con collegamenti al Nord Africa, è arrivato durante la visita in Tunisia di William Hague, ministro degli Esteri della Gran Bretagna, l’8 febbraio, quando la rivolta in Egitto era già in atto.
In risposta ad un quesito rivoltogli da Al Jazeera, il ministro degli Esteri britannico ha riconosciuto che era ora di andare oltre la cornice dell’anti-terrorismo. “Credo che ora ci sia la possibilità di un rapporto molto più allargato di una relazione di sicurezza”.
A rafforzare la sua dichiarazione, veniva l’annuncio di un fondo di 8,1 milioni di dollari per sostenere le riforme economiche e politiche in Nord Africa e nel Medio Oriente.
Inoltre, Hague, a nome del suo governo, prendeva le distanze dalla controversa legge anti-terrorismo della Tunisia, che da tempo attirava le critiche degli attivisti per i diritti, che sostenevano venire applicata per imprigionare i dissidenti politici.
 
Hague ha promesso che con la Tunisia il Regno Unito andrà oltre una relazione tutta centrata sulla sicurezza [Reuters]
 
Hague dichiarava: “Noi confidiamo che la nuova legislazione sarà conforme alle leggi internazionali sui diritti umani, rispetterà la libertà di espressione, e naturalmente ci auguriamo che in qualsiasi paese le leggi anti-terrorismo non siano applicate per soffocare il legittimo dibattito e le attività politiche.”
Ma anche adesso, che il numero dei morti in Libia continua a salire, l’ideologia anti-terrorismo è ben lungi dall’essere smantellata, visti i tentativi di Gheddafi di trascinare al-Qaeda all’interno dei suoi problemi.
Martedì scorso (22 febbraio), l’Algeria ha revocato il controverso stato di emergenza, in vigore fin  dal 1992, che il governo aveva ritenuto necessario per facilitare la sua lotta contro i “terroristi”. Attivisti aveva a lungo criticato la legge, sostenendo che il suo vero obiettivo era quello di reprimere il dissenso e di soffocare le libertà politiche, conquistate dai manifestanti sull’onda di sommosse anti-governative dell’ottobre 1988.
Ma lo stato di emergenza è stato sostituito da una nuova legislazione anti-terrorismo, il che significa un cambiamento di poco conto. Marce e cortei di protesta saranno proibiti e l’esercito manterrà il suo diritto tanto contestato di intervenire per rafforzare la sicurezza interna.
Mercoledì, un portavoce del ministero degli Esteri della Gran Bretagna e del Commonwealth dichiarava al telefono che le dichiarazioni di Hague rilasciate a Tunisi potevano riferirsi ad una qualsiasi legislazione anti-terrorismo, anche in Algeria.
Tuttavia, Jeremy Keenan evidenzia il ruolo dell’Algeria come quello di un “alleato assolutamente essenziale” per gli Stati Uniti durante la “guerra al terrorismo”. Il paese, che detiene forti legami storici con la Francia , negli ultimi due anni, si è avvicinato di molto alla Gran Bretagna. Secondo la Agenzia statunitense per le Informazioni sull’Energia, l’Algeria si trova al terzo posto per le riserve di petrolio in Africa ed è il sesto produttore di gas naturale nel mondo.
Keenan dichiara: “L'Occidente ha estremo bisogno che in Algeria, il regime possa rimanere in carica, però mettendo in atto riforme opportune”, ed aggiunge che potrebbe essere all’orizzonte un rimpasto di governo e che Bouteflika potrebbe eventualmente essere sostituito. Ma tali riforme dovrebbero essere “puramente di facciata”, e servirebbero solo a mantenere l’attuale regime, egli sostiene, facendo notare che la revoca dello stato di emergenza dovrebbe inquadrarsi in questo contesto.
 
Armare gli oppressori
E a prescindere da qualsiasi cambiamento di tono, i governi europei non sembrano intenzionati a ridurre la vendita di armi, in continua crescita, al Nord Africa e al Medio Oriente.
Michele Alliot-Marie, la ministro degli Esteri francese, sta risentendo tuttora delle ripercussioni politiche provocate dalla sua offerta del 12 gennaio di sostenere le forze di sicurezza tunisine e algerine con “conoscenze tecnologiche” idonee a reprimere le proteste, anche quando i manifestanti tunisini venivano ammazzati.  
Le esportazioni di armi dell’Occidente verso quella regione hanno richiamato una particolare attenzione, alla luce delle uccisioni di manifestanti in Libia e in Bahrain nei giorni scorsi, e questo ha provocato la sospensione delle vendite di armi a questi due paesi da parte della Gran Bretagna e della Francia.
Ma la “Campagna Contro il Commercio delle Armi” (CAAT), un’organizzazione con sede in Gran Bretagna,  sostiene che i divieti sono temporanei e difficilmente porteranno a cambiamenti a lungo termine nella promozione attiva del settore delle esportazioni di armi da parte di alcuni governi europei. Sarah Waldron, una portavoce della CAAT afferma: “Non appena l'attenzione pubblica si rivolgerà da un’altra parte,  torneranno alle loro forniture”.
Secondo la CAAT, le esportazioni di armi dai paesi membri dell’Unione Europea verso Libia, Tunisia, Algeria e Marocco sono aumentate sensibilmente negli ultimi cinque anni: autorizzazioni di esportazioni di armi da parte dell’Unione Europea per i quattro paesi sono aumentate da un fatturato di 1,3 miliardi a 2,7 miliardi di dollari, nel solo 2009.
Andando al contesto della cooperazione in materia di controllo delle frontiere e di lotta al terrorismo, le vendite di armi sono aumentate sia per ragioni strategiche che economiche.
Jeremy Keenan aggiunge: “L’attrezzatura che viene fornita a questi paesi in regime di esportazione, in nome del contro-terrorismo, è la stessa attrezzatura che viene utilizzata da questi paesi nella repressione dei loro stessi popoli.”
 
Realpolitik
Molti attivisti del Nord Africa sono consapevoli da anni di quello che considerano l’ipocrisia dell’Occidente. e sono scettici sul fatto che le sommosse produrranno una effettiva trasformazione sulla politica estera.
Mokhtar Trifi, il presidente della Lega Tunisina per i Diritti dell’Uomo (LTDH), dichiara che, per il decennio passato, solo due cose hanno rivestito importanza per gli Europei e gli Stati Uniti, quando si trattava di Tunisia : “Il Parlamento europeo e i governi europei sono stati in silenzio, e molti di loro sono stati complici. Non abbiamo mai smesso di attirare l’attenzione sulla dittatura. La Tunisia andava bene, perché Ben Ali stava portando avanti la lotta contro il terrorismo e l’immigrazione clandestina. Di questo si discuteva [da parte dei governi occidentali]!”
Jean-Philippe Chauzy, portavoce per l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che collabora con i governi per gestire i flussi migratori internazionali, ribadisce che le minacce di Gheddafi di aprire le porte dei flussi migratori sono riuscite a preoccupare i governi europei. Tuttavia egli nota che nei giorni scorsi, gli Europei hanno dovuto affrontare la realtà del ruolo che l’immigrazione ha svolto nelle relazioni con la Libia: “Penso che ci sia il riconoscimento, almeno in Italia, che davvero era solo la realpolitik a dettare le relazioni fra Italia e Libia.”
A seguito dei cambiamenti di regime in Nord Africa, in combinazione con l’aumento della disoccupazione in Europa, Chauzy pensa che i politici dovrebbero essere propensi a considerare un nuovo approccio alla gestione della migrazione.
Idealmente, Chauzy preferirebbe che si concentrassero di più a contrastare i fattori socio-economici alla radice della migrazione e pensassero meno alle operazioni di polizia sui mari.
Jeremy Keenan aggiunge che, puntando tutta la loro attenzione sul terrorismo e l’immigrazione, i paesi occidentali hanno danneggiato i loro stessi interessi. Sia che si tratti di Francesi, Statunitensi o Inglesi, egli sostiene che la preoccupazione nei confronti degli Islamisti e del terrorismo ha minato la capacità dei servizi di intelligence occidentali a comprendere le dinamiche politiche e sociali nella regione: “Senza tenere conto dei servizi di intelligence, e solo consultando Twitter o Facebook, ci si poteva fare la precisa idea di quello che stava e sta succedendo. Le forniture di petrolio dalla Libia sono già disturbate e parzialmente interrotte. Lo stesso potrebbe accadere in Algeria se si diffondessero gravi disordini. L’Occidente, nel suo complesso, ha sbagliato tiro. Penso che stia disperatamente tentando di recuperare. Potremmo pagare un prezzo veramente alto a causa della strategia dell’Occidente verso questi paesi.”
I leader occidentali stanno ora affannandosi per sviluppare rapporti con la società civile nella regione, dopo non avere dato per anni la giusta importanza a queste relazioni, una pesante eredità di questi leader onnipotenti. Per tutto ciò, è improbabile che i membri dell’Associazione Donne Democratiche della Tunisia possano dimenticare che Rama Yade, come ministro della Francia per i diritti dell’uomo, abbia annullato il suo incontro con loro, per motivi inspiegabili, durante la sua visita in Tunisia nel 2008.
Nemmeno Mokhtar Trifi dimenticherà il fatto che l’ultimo ambasciatore francese abbia evitato la Lega Tunisina per i Diritti dell’Uomo, senza mai fare una visita.
I partiti di opposizione pro-democrazia, come il Fronte delle Forze Socialiste di Algeria (FFS), sono di solito invitati dai diplomatici e politici occidentali ad incontri strettamente riservati, ma raramente le espressioni di preoccupazione per i diritti politici calpestati, rese in privato, si traducono in un sostegno pubblico.
Per Abed Charef, uno scrittore e giornalista algerino, i paesi del Nord Africa sarebbe più democratici se i paesi occidentali avessero smesso di interferire: “I popoli aspirano alla libertà, e non hanno potuto godere di questa libertà, in parte grazie al sostegno dei paesi occidentali a governi oppressivi. In Algeria, siamo repressi da un sistema politico che soffoca la crescita economica, che soffoca l’opposizione politica, che soffoca tutto e tutti. [I paesi occidentali] agiscono per i propri interessi, sostengono leader anti-democratici, sostengono la corruzione. Questo non è di aiuto, questo è quello che ci sta distruggendo.”




Per concessione di Tlaxcala
Fonte: http://english.aljazeera.net/indepth/features/2011/02/201121310169828350.html
Data dell'articolo originale: 25/02/2011

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