Fonte:http://everyonegroup.com
Parigi, 3 gennaio 2011. La situazione dei profughi africani nel Sinai è ancora in stallo, mentre la loro condizione diventa sempre più drammatica di giorno in giorno. Radio France intervista Roberto Malini del Gruppo EveryOne sulla terribile attualità dei migranti nelle mani dei predoni e sulle prospettive future.





Risposta: Il Gruppo EveryOne è un’organizzazione che opera al di fuori di ideologie politiche o di interessi associazionistici. E’ un team di “Human Rights Defenders” che si impegnano per tutelare individui e minoranze discriminate o perseguitate. Oltre a me, i leader di EveryOne sono Matteo Pegoraro e Dario Picciau, che si dedicano come me da tanti anni ai diritti umani e civili. Sei anni fa abbiamo deciso di unire le nostre strade e abbiamo fondato il Gruppo EveryOne, in cui operano attivisti nonviolenti italiani e di tutto il mondo. La nonviolenza e un approccio scientifico alle indagini riguardanti le violazioni dei diritti umani sono caratteristiche del gruppo.
I nostri difensori dei diritti umani hanno salvato molte vite, ma corrono ogni giorno gravi rischi, tanto che lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sui Difensori dei Diritti Umani, il Parlamento europeo, l’organizzazione FrontLine, l’associazione Union Romani e altre Istituzioni internazionali sono intervenuti più volte a difesa dei nostri attivisti, e in particolare di noi co-presidenti, in merito a gravi episodi di persecuzione giudiziaria e di fatti legati a minacce e intimidazioni nei nostri confronti. I co-presidenti del Gruppo EveryOne sono considerati dagli organismi internazionali succitati “a rischio di persecuzione e di vita”. Il nostro gruppo, però, ha una precisa missione e prosegue la stessa, consapevole che la tutela delle minoranze discriminate e degli individui perseguitati è opera essenziale per la civiltà e i pericoli cui tale opera ci sottopone sono un segno di come anche gli stati democratici si siano imbarbariti e di come le ideologie intolleranti siano tornate dominanti nelle moderne società. EveryOne lavora spesso a stretto contatto con l’Onu, il Parlamento europeo e le principali organizzazioni per i diritti umani.
D: E’ vero che i vostri attivisti investono i propri beni personali per assistere le minoranze perseguitate? E’ vero che per evitare la persecuzione della comunità Rom di Pesaro, oltre ad aver subito ben tre pesanti procedimenti penali, siete stati costretti a vendere casa e impiegare il denaro della vendita per mettere in salvo alcune famiglie Rom? Perché lo fate?





Mirjam rischiò tutto quanto possedeva e la sua vita stessa, per inseguire un sogno di giustizia. Per dedicarsi agli altri, non fece in tempo a sfuggire alla cattura e l’Olocausto travolse tutti i membri del suo gruppo. Sopravvisse per continuare a testimoniare l’orrore della discriminazione e della violenza del potere, quando perde la via dei diritti umani. Oggi in Italia e in altri paesi dell’Unione europea quella via è stata perduta e il potere annichilisce, reprime, uccide le minoranze. Lo fa con i respingimenti di profughi, con i pacchetti sicurezza - che sono le nuove leggi razziali -, con l’ascesa al potere di movimenti e partiti razzisti, con la creazione di Centri di identificazione ed espulsione che sono lager e che condannano alla deportazione e spesso a morte migranti che avrebbero diritto a protezione e accoglienza. Abbiamo investito molto denaro in operazioni a salvaguardia della vita umana.
Dario Picciau e io abbiamo venduto casa per disporre di fondi sufficienti a interventi difficili e importanti. Ma anche Matteo Pegoraro, Steed Gamero, Fabio Patronelli, Glenys Robinson hanno devoluto tante energie e tanti soldi in azioni a difesa di Rom e migranti in grave difficoltà sociale. Abbiamo consentito a numerose famiglie di trasferirsi dall’Italia in Romania, Francia, Spagna, Portogallo, Germania, Grecia. Famiglie perseguitate da magistratura, forze dell’ordine, movimenti razzisti, cittadinanze e media. Famiglie vicine al baratro, senza mezzi di sostentamento, colpite da provvedimenti iniqui, prossime a vedersi sottrarre anche i bambini da parte di servizi sociali e tribunali che non rappresentano più alcuna forma di società civile o di giustizia. Abbiamo investito molto denaro per provvedere alle necessità vitali di individui malati, deboli ed esclusi. Abbiamo messo in salvo stranieri divenuti “clandestini” in base a leggi vergognose. Abbiamo aiutato alcune famiglie ad avere una casa e a iniziare a lavorare. Abbiamo anche acquistato un terreno in Romania, a Costanza, per consentire a un nucleo familiare ferocemente perseguitato di costruirsi una casa in patria e avere una nuova ragione di vita.
E’ denaro investito in dignità e vita umana: azioni che non perdono mai valore! E’ vero anche che Istituzioni e autorità italiane, anziché avvalersi della nostra consulenza, ci reprimono con ogni strumento possibile. Ci hanno sottoposti ad avvisi orali, pedinamenti, persecuzione poliziesca e lunghe indagini. CI hanno intentato cause penali con pretesti incredibili (nel caso più “grave”, abbiamo definito “abuso” in una lettera a un tribunale minorile la sottrazione di bambini Rom ai legittimi genitori per indigenza: la stessa definizione che offrono per questa pratica la Commissione europea e l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani), prospettandoci pesanti condanne detentive. Un procedimento è stato recentemente archiviato, ma solo dopo che siamo stati costretti a sostenere gravose spese legali per difenderci.
D: E ora veniamo alla situazione dei migranti africani in Egitto. Il vostro Gruppo ha iniziato per primo una campagna internazionale difficile, visto che da decenni il traffico di esseri umani prosegue senza che il mondo abbia mai ritenuto di combatterlo in modo continuativo e senza che i media internazionali gli dedicassero particolare attenzione. Oggi almeno se ne parla. Quali sono le ong che vi affiancano in questa battaglia?
R: Sì, se ne parla in tutto il mondo e gli attori che scendono in campo per dire basta al traffico di esseri umani sono sempre più numerosi e importanti, dal Papa all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, dal Parlamento europeo al Consiglio dell’Unione europea, dal governo egiziano a quello israeliano. Inoltre, le strutture sanitarie che hanno visitato i migranti una volta rilasciati, le organizzazioni per i diritti umani, gli enti deputati a risolvere le crisi umanitarie nel mondo. Le ong più vicine a noi sono l’Agenzia Habeshia, Christian Solidarity Worldwide (CSW), il Gruppo Facebook “Per la liberazione dei prigionieri nel Sinai”, il blog NoirPink, i Physicians for Human Rights, l’organizzazione israeliana Global Crisis Solution Center e altre.
D: Come fate a comunicare con i migranti africani nelle mani dei predoni del Sinai?
R: Grazie a don Mussiè Zerai di Habeshia, a una ong egiziana e ai Medici per i Diritti Umani possiamo comunicare con i migranti. I trafficanti hanno lasciato ad alcuni di loro il telefono cellulare, perché ogni giorno sollecitino i parenti in Europa o in patria a versare denaro, fino al completamento del riscatto, che per ogni migrante deve raggiungere i 10.000 dollari. Ogni profugo ha pagato 2000 dollari ai “passeur” non appena varcato il confine fra Libia ed Egitto, ma a un certo punto del viaggio i “passeur” hanno consegnato il loro carico umano ad altri trafficanti, i quali hanno preteso altri 8000 dollari pro capite per condurli al confine con Israele. Chi non ha raggiunto tale somma, attraverso i versamenti dei parenti in Europa o nel paese di origine, vive in totale schiavitù. E’ necessario comunicare con i prigionieri in lingua tigrina, perché se si parla in arabo, i predoni possono comprendere quello che gli africani comunicano alle ong.
D: Perché i predoni torturano i prigionieri?
R: Li torturano per spingerli a supplicare i parenti di liberarli. A volte li picchiano con bastoni, pugni e calci o li seviziano con ferri roventi mentre sono al telefono con i loro cari, così che questi sentano le urla e l’orrore cui sono sottoposti i prigionieri.
D: Ho letto che alcune ragazze africane, dopo lunga detenzione, sono rimaste incinte dei loro aguzzini. Altre giovani donne sono scomparse, così come numerosi ragazzi. Che cosa accade poi alle vittime degli stupri e che fine fa chi sembra sparire nel nulla?
R: Le ragazze che restano incinte, in genere abortiscono, anche nel caso siano cristiane e sacerdoti e suore suggeriscano loro di lasciar nascere i bambini. Quello che hanno sopportato va oltre l’immaginazione umana. Non solo stupri ripetuti, ma violenze e umiliazioni di ogni genere. La loro psiche, quando sono liberate ed entrano in contatto con medici e psicologi, è devastata più ancora del loro corpo macilento e martoriato. Chi scompare, invece, perché non è stato in grado di pagare il riscatto, finisce sul mercato nero dei reni (l’Egitto è il terzo paese al mondo per questo macabro giro d’affari), nel mondo della prostituzione o in quello del lavoro nero. In ogni caso, si tratta di una vera e propria schiavitù senza via di uscita. I bambini rischiano di cadere nel mercato della pedofilia o ancora in quello degli schiavi.
D: Spaventoso. Ho parlato con don Mussiè Zerai, il quale mi ha riferito di un corpo ritrovato dalle autorità nel deserto senza alcuni organi, asportati chirurgicamente. Sei al corrente di questo fatto? I Medici per i Diritti Umani, invece, hanno rilevato su alcuni migranti operazioni chirurgiche recenti. E’ possibile che alcuni migranti vengano espiantati, ma restino vivi?
R: Sì, la vicenda riferita da don Mussiè è esatta e si conoscono altri casi simili. Spesso, però, i corpi di chi finisce nelle cliniche clandestine vengono distrutti, dopo gli interventi. Vi sono anche testimoni che hanno subito l’espianto di un solo rene e sono sopravvissuti. Finalmente le loro testimonianze sono raccolte. In Egitto il mercato nero dei reni rappresenta un business molto importante, per le organizzazioni criminali. Ci sono persone povere che vendono un rene per 2000 dollari. Alcuni dei profughi vengono addirittura persuasi dai predoni che la vendita di un rene è la sola via d’uscita per raggiungere Israele ed entrano nelle cliniche con la volontà annichilita, pronti come agnelli sacrificali all’intervento.
D: E’ vero che ogni persona subisce violenze e stupri ripetuti, quando i trafficanti sono di cattivo umore perché non ricevono abbastanza denaro?
R: E’ vero. Lo confermano decine di testimonianze raccolte dai Medici per i Diritti Umani. Ragazzi e ragazze cristiani sono trattati peggio dei loro compagni di sventura di fede islamica.
D: Che età media hanno gli ostaggi?
R: Coloro che affrontano un viaggio tanto duro e pericoloso sono quasi sempre persone giovani. Ragazzi dai 18 ai 25 anni. Le ragazze sono ancora più giovani. Ci sono anche adolescenti e bambini. Di fronte alla guerra e alle persecuzioni in patria, spesso i gruppi di migranti prendono la via della Libia anche se sono consapevoli del calvario che dovranno percorrere.
D: Come fanno i familiari a procurarsi 10.000 dollari?
R: E’ una somma enorme, per loro. In Etiopia alcune famiglie hanno venduto case e fattorie, per pagare quella somma. In Europa alcune organizzazioni cristiane per i diritti dei profughi africani hanno promosso collette fra i fedeli. Ma la maggior parte si indebita, per riuscire a mettere insieme un importo che è quasi sempre fuori della portata di persone che vivono, in genere, poveramente.
D: Quali sono le organizzazioni che gestiscono il traffico di esseri umani e di organi?
R: Innanzitutto la Muslim Brotherhood, la Fratellanza Musulmana, che molti esperti chiamano “mafia islamica”. L’organizzazione palestinese Hamas fa parte della Muslim Brotherhood e ha un ruolo fondamentale nel traffico di migranti, schiavi, organi umani nel Sinai e nei Territori Palestinesi. I capi beduini del traffico, come Abu Khaled e Abu Ahmed, sono uomini di Hamas.
D: Questo traffico genera molto denaro. Don Mussiè mi ha parlato di almeno 1500 africani attualmente prigionieri nel Sinai...
R: E’ esatto. Si stimano 1500/2000 profughi nelle mani dei trafficanti a Rafah e in altre città del Sinai del nord.
D: Come è possibile seguire gli sviluppi della vicenda? Quali sono le fonti attendibili:
R: Tutte le informazioni giungono dai migranti prigionieri a Rafah, da quelli liberi in Israele, dai Medici per i Diritti Umani, dal personale sanitario degli ospedali israeliani che curano i migranti dopo la prigionia, da ong egiziane, palestinesi e israeliane, da fonti governative e organizzazioni che si occupano di crisi globali.
D: E’ vero che avete fornito all’Onu e al governo egiziano tutti i dati per identificare il covo dei trafficanti?
R: E’ vero. Abbiamo anche fornito loro i nomi e cognomi di alcuni capibanda e ben quattro numeri di telefono dei predoni. A tutt’oggi però le autorità non si sono servite di tali informazioni.
D: Di che nazionalità sono i prigionieri? Com’è il luogo in cui sono imprigionati?
R: Sono eritrei, etiopi, somali e sudanesi. A Rafah sono chiusi in container metallici interrati, con bocche per l’aria e portelli mimetizzati. Sono incatenati, vengono nutriti con una pagnotta al giorno e saltuariamente sardine in scatola. Le loro condizioni di prigionia sono così terribili che quasi tutti pensano di togliersi la vita, piuttosto che proseguire in quella situazione. A Rafah ci sono ancora circa centotrentacinque africani. Ti ricordo che otto sono stati assassinati, mentre quattro sono stati trasferiti in una clinica per l’espianto degli organi. Gli altri, che fanno parte di un gruppo di circa cento prigionieri, spostato circa due settimane fa, sono in parte in Israele (ventiquattro, liberati dai predoni, secondo le fonti ufficiali), in parte nelle mani delle autorità egiziane (arrestati alla frontiera, non ne conosciamo il numero) e in parte ancora nelle mani dei predoni, in una località del Sinai sconosciuta. Fra coloro che hanno pagato il riscatto, probabilmente alcuni sono riusciti a varcare il confine con Israele senza essere identificati dalle autorità dello stato ebraico. Siccome i trafficanti tolgono i cellulari agli ostaggi liberati, non sappiamo ancora quanti sono.
D: Fra i predoni vi è anche un africano. L’avete definito “rinnegato”, perché?
R: Uno degli uomini vicini ad Abu Khaled è etiope e si chiama Fatawi Mahari. Le autorità egiziane e israeliane lo conoscono molto bene, proprio come trafficante. E’ stato anche arrestato e rilasciato, a Gerusalemme. Viaggia fra Egitto, Territori Palestinesi e Israele con molto denaro. L’abbiamo definito “rinnegato” perché è un africano che vende i propri fratelli. Gli altri collaboratori di Abu Khaled sono beduini palestinesi. Secondo i migranti, sono circa venti uomini armati fino ai denti.
D: Qual è la posizione attuale dell’Egitto e quali saranno i vostri prossimi passi?
R: L’Egitto finalmente ha riconosciuto l’esistenza dei migranti nelle mani dei predoni. Il Governo tuttavia ha spiegato che non è in grado di intervenire presso il covo di Rafah perché i trafficanti posseggono armi potenti e moderne, fucili automatici di ultima generazione, lanciamissili e granate di potenza devastante. Secondo il ministero degli Interni, l’Egitto ha firmato un accordo con Israele, impegnandosi a non spostare mai mezzi militari blindati e armi pesanti nei pressi del confine con lo stato ebraico. Per affrontare i trafficanti, sono necessari tali mezzi e armamenti, perché le forze di polizia, con le loro armi leggere, non avrebbero alcuna possibilità di successo. Grazie a una nuova collaborazione con un’organizzazione israeliana che si occupa di crisi globali, il Gruppo EveryOne sta chiedendo al governo di Israele di permettere all’Egitto di agire con qualsiasi mezzo per liberare i migranti e perseguire gli aguzzini, in deroga all’accordo sottoscritto. EveryOne chiede inoltre a Egitto e Israele, ove sia possibile, di lavorare insieme in questa delicata operazione. Sarebbe un modo di avvicinare i due paesi, oltre che di utilizzare l’enorme esperienza che ha Israele nel combattere il terrorismo.
D: Quali sono i risultati più importanti che la vostra campagna ha raggiunto finora?
R: Innanzitutto, la cortina di silenzio e complicità è stata infranta. Nazioni Unite, Unione europea, governi del mondo occidentale e del Medio Oriente hanno messo in agenda l’emergenza-traffico di esseri umani. Non è poco. Tutto sembra cristallizzato ma non è così. Le cose, ora che tutti conoscono la realtà, non potranno mai più tornare come prima. All’inizio di questa vicenda, EveryOne scrisse una lettera ai capi beduini del Sinai, avvertendoli di come l’odioso traffico di migranti, schiavi e organi rischiasse di inquinare irreparabilmente agli occhi del mondo tutta la storia, la tradizione e la cultura beduina. Abbiamo chiesto loro di condannare ufficialmente i traffici criminali. L’ultimo giorno di dicembre, i capi beduini hanno annunciato che il prossimo 15 gennaio sottoscriveranno un impegno di tutte le tribù a vietare il passaggio dei trafficanti sulle loro terre e a combattere il fenomeno, lavorando insieme alle autorità governative e locali. E’ un altro passo importante e un passo dopo l’altro - siamo fiduciosi - si può raggiungere il traguardo di un Sinai senza trafficanti di uomini.
Nelle foto: giugno 2010, profughi africani nel carcere di Al Braq in Libia: dopo la detenzione, cercheranno di raggiungere Israele, cadendo nelle mani dei trafficanti del Sinai; trafficante in un tunnel a Rafah.
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