domenica 17 luglio 2011

La crisi ideologica del capitalismo occidentale

Joseph E. Stiglitz 
Tradotto da  Simona Polverino


Solo qualche anno fa, un’influente ideologia – che sosteneva il libero mercato senza vincoli – portò il mondo alla rovina. Anche nel suo periodo di massimo splendore, cioè dall’inizio degli anni 80 fino al 2007, il capitalismo deregolamentato in stile americano portò enorme benessere materiale solamente alle persone più facoltose dei paesi ricchi del mondo. In realtà, durante la supremazia trentennale di questa ideologia, la maggior parte degli americani ha visto i propri redditi ridursi o stagnarsi anno dopo anno.
La crescita della produzione negli Stati Uniti non è andata di pari passo con la sostenibilità economica. Con un’enorme fetta del reddito nazionale americano riservato a pochi eletti, la crescita poteva persistere solamente puntando su consumi sostenuti da una montagna di debiti.
Ero, io stesso, tra i convinti assertori che la crisi finanziaria avrebbe insegnato agli americani (e non solo) l’esigenza di una maggiore uguaglianza, una regolamentazione più forte e un migliore equilibrio tra mercato e governo. Ma ahimè, le cose non sono andate così. La rinascita di un’economia influenzata dalla destra, spinta come sempre dall’ideologia e da interessi egoistici, minaccia nuovamente l’economia globale – o almeno le economie di Europa e America, dove queste idee continuano a proliferare.
Negli Usa, questa rinascita della destra, i cui sostenitori cercano evidentemente di abrogare le leggi alla base della matematica e dell’economia, ora minaccia di imporre un default sul debito nazionale. Se il Congresso autorizzerà spese che eccedono le entrate, si registrerà un deficit, e questo deficit dovrà essere finanziato. Invece di bilanciare attentamente i benefici di ogni programma di spesa pubblica con un aumento della pressione fiscale volta a finanziare quei benefici, la destra si ostina ad utilizzare metodi eccessivi; non consentire al debito nazionale di crescere impone che le spese siano allineate alle tasse.

Resta però aperta la questione su quali spese abbiano la priorità; se non diamo priorità alle spese destinate a pagare gli interessi sul debito nazionale, il default sarà inevitabile. Inoltre, ridurre le spese in questo momento, nel mezzo di una crisi provocata dall’ideologia del libero mercato, non farebbe che prolungare la fase di contrazione.

Dieci anni fa, in pieno boom economico, gli Usa hanno registrato un surplus talmente ampio che minacciava di eliminare il debito nazionale. I tagli fiscali e le guerre proibitive, una forte recessione e i costi del sistema sanitario alle stelle – alimentati in parte dalla scelta dell’amministrazione Bush di lasciare carta bianca alle case farmaceutiche sulla determinazione dei prezzi, pur trattandosi di denaro pubblico – hanno rapidamente trasformato l’elevato surplus in un deficit record in tempi di pace.

I rimedi per il deficit americano si desumono immediatamente da queste considerazioni: rimettere in sesto l’America stimolando l’economia; porre fine alle irragionevoli guerre; ridurre i costi delle operazioni militari e dei farmaci; e aumentare le tasse, almeno per i ricchi. Ma la destra non farà nulla di tutto ciò, anzi sta già facendo pressioni per ottenere ulteriori sgravi fiscali per le aziende e gli abbienti, oltre ai tagli previsti sugli investimenti e sulla previdenza sociale che mettono in pericolo il futuro dell’economia americana e mandano in frantumi ciò che resta del contratto sociale. Nel frattempo, il settore finanziario americano esercita forti pressioni per svincolarsi dalle regole, così da poter riprendere la precedente e disastrosamente spensierata condotta.

Le cose vanno leggermente meglio in Europa. Mentre la Grecia e altri paesi affrontano la crisi, la medicina quotidiana è semplicemente rappresentata da un mix di vecchia austerity e privatizzazione, che sortirà solo l’effetto di impoverire e rendere vulnerabili i paesi coinvolti. Questa soluzione non ha funzionato in Asia orientale, in America Latina e in altre regioni, e non funzionerà nemmeno questa volta in Europa. In realtà ha già dato esiti fallimentari in Irlanda, Lituania e Grecia.

Esiste un’alternativa: una strategia di crescita economica appoggiata dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale. La crescita infonderebbe fiducia circa la possibilità che la Grecia ripaghi i propri debiti, facendo crollare i tassi di interesse e dando maggiore spazio al fisco per dar vita ad ulteriori investimenti volti a rilanciare la crescita. La crescita stessa aumenta il gettito fiscale e riduce la necessità di ricorrere alle spese sociali, come i sussidi per la disoccupazione. E la fiducia generata da questa situazione porta ulteriore crescita.

Malauguratamente, i mercati finanziari e le economie di destra hanno sostenuto l’esatto contrario: credono che l’austerità produca fiducia, e che questa fiducia produca crescita. Ma l’austerità mina la crescita, peggiorando la posizione fiscale del governo, o comunque ottenendo minori miglioramenti di quanto promettano i fautori dell’austerity. In entrambi i casi, la fiducia ne risente, e si mette in moto una spirale al ribasso.

Abbiamo davvero bisogno di un altro esperimento così costoso che abbraccia idee già fallite ripetutamente? No, ma sembra che nonostante tutto dovremo sopportarne un altro. L’eventualità che l’Europa oppure gli Usa non riescano a ritornare a un livello di crescita robusta potrebbe avere ripercussioni negative sull’economia globale. L’eventuale fallimento di entrambi i sistemi sarebbe disastroso – anche se i principali paesi emergenti hanno raggiunto un livello di crescita sostenibile. Sfortunatamente, a meno che a prevalere non sia la saggezza, il mondo punta dritto verso questo baratro.




Per concessione di Emigrazione Notizie
Fonte: http://www.project-syndicate.org/commentary/stiglitz140/English
Data dell'articolo originale: 06/07/2011
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=5345 

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