La censura del Congresso sulla guerra libica di Obama si può leggere in tanti modi. Certo non si sbaglia se alla lettura politica si affianca quella economica.
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Budget alla mano, i quattrini spesi nella guerra al terrore dall'11 settembre in poi hanno infatti superato persino le più funeree previsioni di The Three Trillion Dollar War, il libro di Joseph Stiglitz e Linda Bilmes che stimava il costo reale della guerra in Iraq. Un esercizio che era già costato la carriera al consigliere economico di Bush, Lawrence Lindsey che aveva osato parlare, già nel 2002, di una spesa possibile tra i 100 e i 200 miliardi di dollari. Stimare il costo della guerra/e, e dunque il peso sul Pil e soprattutto la sua sostenibilità o un equilibrio tra costi e benefici, non è facile, Stiglitz allora sommò le spese derivate da “fonti aperte” ai costi “segreti” e vi aggiunse infine la spesa corrente del Pentagono che, in tempo di guerra, poteva essere considerata una delle voci di bilancio. Ma anche solo leggendo i dati del Crs (il servizio di ricerca del Congresso, considerato autorevole e attendibile anche perché tenuto a essere rigorosamente bypartisan) si impallidisce. Se non sono tre, nelle stime del Crs, il triliardo è ampiamente superato: a marzo 2011, per Operation Iraqi Freedom (Oif), quella per Operation Enduring Freedom (Oef) e Operation Noble Eagle (One, spese per la sicurezza delle basi americane) il Congresso aveva approvato 1,283 trilioni di dollari, il 63% dei quali (806miliardi) per l'Irak, il 35% (444 miliardi) per l'Afghanistan e 29 miliardi per le basi. Tutta spesa militare? Non esattamente: il 94% è andato al Pentagono , il 5% per aiuti e operazioni diplomatiche, l'1% in spesa sanitaria in favore dei veterani. In confronto la Libia sono noccioline. Se per anni l'Iraq ha fatto la parte del leone, la spesa afgana è cresciuta mensilmente fino a sforare quota 6,7 miliardi (217 milioni al giorno; l'Italia ne spende due) superando quella irachena (in decrescita) e con un aumento previsto che, secondo le stime del Pentagono, dovrebbe arrivare a poco meno di 300 milioni al giorno. Se a queste spese “aperte” si sommano quelle nascoste (di cui non abbiamo stime), la spesa afgana per oltre 100mila sodati in teatro sta diventando per gli americani un prezzo troppo alto. Ma ufficialmente ancora non è chiaro di quanto sarà il taglio delle truppa in Afghanistan che dovrebbe iniziare a luglio e sarebbe fonte di un discreto risparmio. 4mila secondo alcune fonti e con una ritirata lenta da qui a fine anno. Di 15mila secondo i consigli di alcuni parlamentari (come il democratico Carl Levine ripreso però anche da qualche repubblicano). Di almeno 400 miliardi nei prossimi 12 mesi secondo quanto Obama ha chiesto al direttore della Cia Leon Panetta, il ministro della Difesa in pectore che non ha ancora fatto numeri ma ha ammesso che il primo taglio di truppe sarà comunque “significativo”. Si dirà che i soldi non son tutto ma prendendo in mano i risultati va ancora peggio. E non solo quelli militari: un'inchiesta preparata per la Commissione affari esteri del senato americano ha riportato dati imbarazzanti. I 19 miliardi di dollari spesi in Afghanistan per stabilizzare il Paese in termini “politici”, ossia attraverso aiuti Usa di vario genere, avrebbero ottenuto l'effetto contrario e cioè incoraggiato “dipendenza e corruzione”, mali già endemici dell'Afghanistan ma rafforzatisi con le politiche di aiuti messe in opera tra il 2001 e il 2010. Ad aggiungere carne al fuoco si è messa anche la Banca mondiale secondo cui i 14 miliardi del Pil afgano ufficiale (quello “nero”, tra oppio, evasione e contrabbando, varrebbe secondo alcune stime altrettanto) sarebbero legati per il 97% alle spese della comunità internazionale. Un paradosso visto che proprio la Banca mondiale, nei primi anni della guerra, aveva stimato che al governo afgano andava troppo poco e che quasi la metà dell'investimento straniero tornava a casa grazie alle commesse a società estere. Adesso che l'ora del “tutti a casa” sta per suonare coi paradossi si dovranno fare i conti. I governi occidentali (compreso il nostro) hanno iniziato a trasferire fondi direttamente al governo afgano che reclamava da tempo sovranità anche sui conti della cooperazione internazionale. Ma l'Afghanistan, secondo Transparency International, è anche sul podio (numero 2) dei Paesi più corrotti. E dove non c'è la corruzione c'è la “sicurezza”: una voce che taglieggia ormai ogni attività economica mangiandosi a volte una tangente del 30%.
Fonte: www.lettera22.it
18 Giugno 2011
18 Giugno 2011
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