Bambine liberate
di Nicola Quatrano
Le recenti iniziative di Biram Abeid e dei suoi compagni dell’IRA contro la schiavitù in Mauritania hanno portato alla liberazione di alcune decine di bambini, sottratti allo sfruttamento e alle violenze sessuali.
Nel corso del mio incontro con Biram (vedi: http://www.ossin.org/mauritania/schiavitu-mauritania-biram-abeid-sfruttamento-sessuale.html), ho avuto notizia di alcuni casi concreti, come quello dei due ragazzini di 9 e 7 anni, abbandonati dal padrone nella brousse (savana) a governare le capre. E quello delle piccole Nana e Salma, sottratte alla padrona, Moulournine mint Bakar Vall. “E’ stata la madre a rivolgersi a noi – dice Biram – dopo la pubblicità che è stata data al nostro arresto. Quando Biram è stato liberato, la padrona delle bambine le ha affidate alla madre (schiava di suo fratello), per paura che i militanti antischiavisti intervenissero. La madre ha deciso di denunciare i fatti e le due bambine sono state affidate all’IRA. Il procedimento giudiziario è stato tuttavia archiviato, nonostante le dettagliate dichiarazioni accusatorie delle vittime.
La schiavitù in Mauritania – dice Biram – non è del tipo moderno, come quella che esiste in Europa nei confronti dei migranti e dei clandestini, essa è di tipo tradizionale, più profonda. E’ una schiavitù per nascita.
Ho l’opportunità di incontrare due bambine recentemente liberate (il 6 marzo 2011), e la loro madre. Quest’ultima si chiama Mbarka, ed era a sua volta schiava. Fin dall’età di 5 anni è stata obbligata ai lavori domestici e, dall’età di dieci anni, ha dovuto anche subire lo stupro continuato del padrone e di suo figlio. Le due bambine sono appunto il frutto di questa relazione violenta, ma non si sa chi dei due stupratori sia il loro padre.
Incontro Mbarka e le due figlie, Douida, di 7 anni, e Ouhita, di 9 anni, a casa di Biram. La donna viene con suo marito e un’altra figlia piccola.
E’ una donna mite e sottomessa, risponde obbediente alle mie domande. Anche le sue due bambine, come lei, sono state avviate ai lavori domestici fin dall’età di 5 anni. La più grande, Ouhita, è stata presa a due anni dalla sorella del padrone, che se l’è portata a casa sua. Idem per la seconda, presa a due anni dalla figlia del padrone.
Mbarka era stata autorizzata a vivere col marito, ma ogni giorno doveva recarsi a lavorare (gratis) a casa del padrone. Dopo la grande pubblicità data all’arresto di Biram ed alle iniziative dell’IRA, Mbarka ha finalmente appreso dell’esistenza della legge del 2007 che punisce i padroni di schiavi, prima non immaginava neppure che una legge del genere esistesse.
Nell’occasione, il padrone gli ha parlato di Biram e le ha detto: “Lo vedi? Quell’uomo è contro la schiavitù ed è finito in prigione, non pensare di seguirne l’esempio”.
Dopo la liberazione di Biram, la padrona della figlia più grande l’ha chiamata per restituirle la bambina. I vicini la guardavano con sospetto perché teneva una bambina nera in casa e ritenevano si trattasse di un caso di schiavitù. E’ però intervenuta la figlia del maitre che ha invece deciso di tenersi entrambe le bambine.
Quando anche il padrone le ha parlato di Biram, diffidandola dal rivolgersi a lui, Mbarka ha capito che avevano paura e ha deciso di denunciarli.
Attualmente vive col merito e le sue tre figlie. Sia lei che il marito sono disoccupati, quest’ultimo si arrangia di tanto in tanto a fare il taximen. E’ però contenta di quanto ha fatto e rimpiange solo di non averci pensato prima.
Provo a parlare con Duida, 7 anni, ma è difficile. E’ terribilmente timida e ovviamente traumatizzata. Le chiedo quali lavori le fossero affidati e mi risponde che doveva andare a prendere l’acqua al distributore pubblico. Mi pare terribile: è una bambina di sette anni minutissima, eppure era costretta ad un lavoro pesantissimo.
Duida parla con gli occhi bassi e il capo chino, mi dice di essere contenta di essere tornata dalla madre. Le chiedo cosa intenda fare della libertà conquistata. Non mi risponde, forse non capisce la domanda, forse non capisce che cosa sia la libertà.
Ouhita ha nove anni, leggermente più alta della sorella, altrettanto minuta. Era tenuta alla pulizia di tutta la casa, soprattutto dei gabinetti. Se non lavorava bene veniva picchiata. E’ un po’ più sorridente della sorella e leggermente più disinvolta. Le chiedo che cosa sia, per lei, la libertà. Mi risponde che è stare con la madre e non subire più botte forti e maltrattamenti. Le chiedo come voglia utilizzare questa sua libertà e mi risponde pronta: “Voglio andare a scuola”.
Cosa c’è da chiedere ancora? Ha ragione Biram: quando un bambino è costretto a lavorare e non ha niente, nemmeno un vestito, e non va a scuola… cos’altro si può dire? Si tratta di uno schiavo.
Eppure il maitre è stato prosciolto… Biram mi dice che si tratta di un uomo d’affari, cugino del presidente della Repubblica Mauritana, Mohamed Abdel Aziz.
Nel corso del mio incontro con Biram (vedi: http://www.ossin.org/mauritania/schiavitu-mauritania-biram-abeid-sfruttamento-sessuale.html), ho avuto notizia di alcuni casi concreti, come quello dei due ragazzini di 9 e 7 anni, abbandonati dal padrone nella brousse (savana) a governare le capre. E quello delle piccole Nana e Salma, sottratte alla padrona, Moulournine mint Bakar Vall. “E’ stata la madre a rivolgersi a noi – dice Biram – dopo la pubblicità che è stata data al nostro arresto. Quando Biram è stato liberato, la padrona delle bambine le ha affidate alla madre (schiava di suo fratello), per paura che i militanti antischiavisti intervenissero. La madre ha deciso di denunciare i fatti e le due bambine sono state affidate all’IRA. Il procedimento giudiziario è stato tuttavia archiviato, nonostante le dettagliate dichiarazioni accusatorie delle vittime.
La schiavitù in Mauritania – dice Biram – non è del tipo moderno, come quella che esiste in Europa nei confronti dei migranti e dei clandestini, essa è di tipo tradizionale, più profonda. E’ una schiavitù per nascita.
Ho l’opportunità di incontrare due bambine recentemente liberate (il 6 marzo 2011), e la loro madre. Quest’ultima si chiama Mbarka, ed era a sua volta schiava. Fin dall’età di 5 anni è stata obbligata ai lavori domestici e, dall’età di dieci anni, ha dovuto anche subire lo stupro continuato del padrone e di suo figlio. Le due bambine sono appunto il frutto di questa relazione violenta, ma non si sa chi dei due stupratori sia il loro padre.
Incontro Mbarka e le due figlie, Douida, di 7 anni, e Ouhita, di 9 anni, a casa di Biram. La donna viene con suo marito e un’altra figlia piccola.
E’ una donna mite e sottomessa, risponde obbediente alle mie domande. Anche le sue due bambine, come lei, sono state avviate ai lavori domestici fin dall’età di 5 anni. La più grande, Ouhita, è stata presa a due anni dalla sorella del padrone, che se l’è portata a casa sua. Idem per la seconda, presa a due anni dalla figlia del padrone.
Mbarka era stata autorizzata a vivere col marito, ma ogni giorno doveva recarsi a lavorare (gratis) a casa del padrone. Dopo la grande pubblicità data all’arresto di Biram ed alle iniziative dell’IRA, Mbarka ha finalmente appreso dell’esistenza della legge del 2007 che punisce i padroni di schiavi, prima non immaginava neppure che una legge del genere esistesse.
Nell’occasione, il padrone gli ha parlato di Biram e le ha detto: “Lo vedi? Quell’uomo è contro la schiavitù ed è finito in prigione, non pensare di seguirne l’esempio”.
Dopo la liberazione di Biram, la padrona della figlia più grande l’ha chiamata per restituirle la bambina. I vicini la guardavano con sospetto perché teneva una bambina nera in casa e ritenevano si trattasse di un caso di schiavitù. E’ però intervenuta la figlia del maitre che ha invece deciso di tenersi entrambe le bambine.
Quando anche il padrone le ha parlato di Biram, diffidandola dal rivolgersi a lui, Mbarka ha capito che avevano paura e ha deciso di denunciarli.
Attualmente vive col merito e le sue tre figlie. Sia lei che il marito sono disoccupati, quest’ultimo si arrangia di tanto in tanto a fare il taximen. E’ però contenta di quanto ha fatto e rimpiange solo di non averci pensato prima.
Provo a parlare con Duida, 7 anni, ma è difficile. E’ terribilmente timida e ovviamente traumatizzata. Le chiedo quali lavori le fossero affidati e mi risponde che doveva andare a prendere l’acqua al distributore pubblico. Mi pare terribile: è una bambina di sette anni minutissima, eppure era costretta ad un lavoro pesantissimo.
Duida parla con gli occhi bassi e il capo chino, mi dice di essere contenta di essere tornata dalla madre. Le chiedo cosa intenda fare della libertà conquistata. Non mi risponde, forse non capisce la domanda, forse non capisce che cosa sia la libertà.
Ouhita ha nove anni, leggermente più alta della sorella, altrettanto minuta. Era tenuta alla pulizia di tutta la casa, soprattutto dei gabinetti. Se non lavorava bene veniva picchiata. E’ un po’ più sorridente della sorella e leggermente più disinvolta. Le chiedo che cosa sia, per lei, la libertà. Mi risponde che è stare con la madre e non subire più botte forti e maltrattamenti. Le chiedo come voglia utilizzare questa sua libertà e mi risponde pronta: “Voglio andare a scuola”.
Cosa c’è da chiedere ancora? Ha ragione Biram: quando un bambino è costretto a lavorare e non ha niente, nemmeno un vestito, e non va a scuola… cos’altro si può dire? Si tratta di uno schiavo.
Eppure il maitre è stato prosciolto… Biram mi dice che si tratta di un uomo d’affari, cugino del presidente della Repubblica Mauritana, Mohamed Abdel Aziz.
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