domenica 10 luglio 2011

CONSIGLIPERLAMENTE: SETE di Alberto Riva



Alberto Riva (Milano, 1970) dopo aver lavorato per giornali, radio e Web, alla fine del 2004 si è trasferito in Brasile, dove ha seguito i principali fatti brasiliani e sudamericani per "Il Venerdì di Repubblica", "Il Riformista", "Il Corriere della Sera", "Lo Straniero", "Capital" e l'agenzia di stampa Apcom. È coautore della biografia del trombettista jazz Enrico Rava, Note necessarie (minimum fax, 2004) e del reportage su Rio de Janeiro Seguire i pappagalli fino alla fine (Il Saggiatore, 2008). Il suo blog è l'Osservatore Carioca. Sete è il suo primo romanzo.


Come si inscrive nell’ormai sempre più nota crisi di risorse un bene come l’acqua? Che significato assume la trasposizione del concetto di sete nell’orizzonte affaristico di una ricerca che ha per oggetto l’essenza dell’acqua e il suo destino?
Una risposta adeguata a tali interrogativi può unicamente trovarsi nella considerazione di un tema o problema che il romanzo di Alberto Riva affronta nei sui termini essenziali, nella considerazione cioè della sete di potere.
«Tutti abbiamo sete di qualcosa» è il manifesto retrospettivo che illustra la questione di fondo di questo thriller – direi – dai muscoli saldi come l’acciaio. Potremmo altresì definirlo una costruzione complessa. In termini figurati “Sete” sarebbe dunque un edificio. Un edificio imponente che occupa la superficie totale di 465 pagine lungo un complesso di stanze e corridoi intricatissimi, in cui il lettore riuscirà comunque a trovare la via di uscita, seguendo una narrazione originale, passando attraverso storie cariche di ambiguità, che imprimeranno al romanzo un ritmo di grande intensità creando un’inenarrabile sensazione d’attesa.
Sembra, infatti, da un lato, che le vicende narrate non possano considerarsi a se stanti, estranee le une alle altre, e che invece costituiscano un tutt'uno: «Anche in chimica accade così: la reazione di due elementi può essere la più inaspettata. E la reazione ha ragioni molto precise, sempre. Non è mai frutto del caso, di fattori accidentali e irripetibili. Il contatto di quegli elementi conduce necessariamente a una reazione, sebbene prima nulla potesse farlo credere». D’altro lato, le storie delle famiglie Braga e Johannsen nonché di Jean-Sebastian Faucon non appaiono soggette l’una all’altra e si rivelano ancor più di difficile combinazione.

In realtà, se prendiamo le mosse dal primo dei temi indicati, l’acqua, ruoteremo attorno alla storia del Drago, Jean-Sebastian Faucon, indecifrabile personaggio, e osserveremo con lui la mappa del mondo in modo diverso. Orbene, proprio la sua attrazione per la parte blu del mondo, che evocherà il sogno del Narciso Cieco, darà origine, e forza, all’indagine di Matheus Braga e Sarah Clarice nell’impenetrabile terra brasiliana. Brillante biochimico, Matheus, introverso, di un indiscusso fascino, è particolare perfino nell’esecuzione delle sue sequenze yoga. Sarah Clarice Young è un’attivista, lavora per una ONG di Salvador, è intrepida e di una avvenenza fantastica. Entrambi, insieme, per sete di verità, verranno a capo di una storia dai risvolti incredibili legati alle famiglie Braga e, come suddetto, Johannsen.
Resta un ultimo personaggio, forse il più difficile: Bruno Johannsen, facoltoso e carismatico, seducente, ha sete, sì, ma non di soldi. Non è chiaro, tuttavia, se le sue azioni siano interpretabili alla luce della sete di potere. Sembra, per certi versi, un fanatico, propenso unicamente alle battaglie. Non scherza affatto, è verosimilmente violento. Non potrà che confondere il lettore che, solo alla fine, realmente alla fine della narrazione, comprenderà i suoi intenti.
Nel punto critico in cui il concetto di sete abbandonerà il dominio dell’acqua e si presenterà sotto le più oscure spoglie, il thriller di Alberto Riva raggiungerà il suo obiettivo e il lettore non potrà che definirlo ben riuscito.

Buona lettura

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