Secondo lei qual è il significato, nel momento storico attuale, del dramma che sta vivendo il Giappone? Da giorni i giornali giapponesi non fanno che parlare della catastrofe che stiamo vivendo e il caso ha
voluto che uno dei miei articoli, scritto alla vigilia del terremoto, sia stato pubblicato nell’edizione serale del quotidiano Asahi, il 15 marzo. Ricordavo la vita di un pescatore della mia generazione, che era stato colpito dalle radiazioni durante i test della bomba all'idrogeno nell’atollo di Bikini. Quando lo incontrai avevo 18 anni. Ha dedicato la sua vita a denunciare il falso mito del nucleare come deterrente, e gli arroganti aedi, cantori di quel mito. E ' un oscuro presagio che mi ha spinto a parlare proprio alla vigilia del disastro di questo pescatore, che si era opposto alle centrali nucleari denunciandone i rischi? Accarezzo da molto tempo il progetto di riscrivere la storia moderna del Giappone, sulle tracce dei destini di tre gruppi di persone: i morti di Hiroshima e Nagasaki, le vittime delle radiazioni nell’atollo del Bikini – il pescatore ne è un superstite - e le vittime delle esplosioni d’impianti nucleari. La storia del Giappone, vista attraverso gli occhi di questi morti, vittime dell’energia nucleare, è la storia di una tragedia. Oggi scopriamo che il rischio delle centrali nucleari è una realtà concreta. Qualunque sia l’esito del disastro che stiamo vivendo - e con tutto il rispetto che provo per gli sforzi per fermarlo – il suo significato è evidente: il Giappone è entrato in una nuova fase storica; ancora una volta siamo sotto lo sguardo delle vittime del nucleare, uomini e donne che hanno mostrato grande coraggio nella sofferenza. La lezione che si può trarre da questo disastro dipenderà dalla volontà di chi, potendo ancora vivere, sceglierà di non ripetere gli stessi errori. La tragedia del Giappone è su due fronti: la vulnerabilità ai terremoti e il rischio rappresentato dal nucleare. Il primo è una realtà che il paese deve affrontare sin dalla notte dei tempi. Il secondo, che può essere ancora più catastrofico del terremoto e dello tsunami, è opera dell'uomo. Quale insegnamento ha tratto il Giappone dalla tragedia di Hiroshima? La grande lezione che il dramma di Hiroshima ci ha dato è la dignità dell'uomo, di quanti sono morti nello scoppio della bomba e dei sopravvissuti, che per anni hanno dovuto sopportare enormi sofferenze, e queste spero possano trovare riconoscimento nei miei scritti. I giapponesi, che hanno conosciuto l’esplosione atomica, non devono ragionare sul nucleare in termini di produttività industriale; la tragica esperienza di Hiroshima non può essere una “ricetta” per lo sviluppo economico. Questa esperienza deve rimanere impressa nella memoria del genere umano così come i terremoti, gli tsunami e le catastrofi naturali: è peggiore, perché è frutto della mano dell’uomo. Continuare su questa strada, con le centrali nucleari, immemori delle conseguenze per la vita umana, è il peggiore tradimento delle vittime di Hiroshima. Il pescatore dell’atollo di cui parlavo prima non ha mai smesso di chiedere l'abolizione delle centrali nucleari. Una delle grandi figure del pensiero giapponese contemporaneo, Kato Shuichi (1919-2008), a proposito delle bombe atomiche e delle centrali nucleari che sfuggono al controllo dell'uomo, ricorda le famose parole di un classico, Note del guanciale, scritto mille anni fa da una donna, Sei Shonagon. La scrittrice parla di avvenimenti che sembrano lontani, ma che sono in realtà molto vicini. Così il disastro nucleare sembra solo un’ipotesi improbabile, eppure è sempre con noi. Il discorso che lei ha pronunciato quando le è stato consegnato il Premio Nobel per la letteratura nel 1994, s’intitola "Io, e il mio ambiguo Giappone". La frase "ambiguo Giappone" è valida anche oggi? Quello che sta accadendo non fa che rafforzare quell’ambiguità di cui parlavo allora. Oggi il Giappone, così incerto su quali valori difendere, si trova in una situazione di stallo. Il contrario dell’ambiguità è la chiarezza. Allora, quando ho definito ambiguo il Giappone, nel 1994, il mio paese era ancora in uno stato di grazia; era un tempo sospeso nel quale le scelte e le decisioni potevano essere rimandate:, ci si poteva permettere l’indecisione. E il Giappone pensava che il rinvio indefinito delle scelte potesse essere condiviso anche dagli altri paesi. Così facendo, non ha assunto nel mondo contemporaneo né un ruolo né alcuna responsabilità. La stessa mancanza di scelte chiare nell’economia ha condotto il paese ad adottare un piano di sviluppo economico senza lungimiranza. Una conseguenza la possiamo vedere nella crisi finanziaria degli anni 90. Oggi, il Giappone si deve schierare. La Cina gli chiede di assumersi le proprie responsabilità nei confronti del resto dell'Asia, e gli abitanti di Okinawa, dove si trova la più alta concentrazione di basi militari statunitensi di tutto l'arcipelago, si aspettano una presa di posizione chiara del governo sulla questione. Okinawa, base militare americana, non è più accettabile né per i giapponesi né per gli americani. I superstiti della guerra in Okinawa esigono un atteggiamento chiaro del governo, che elimini ogni possibile indecisione. È finito per il Giappone il periodo di grazia delle scelte sospese. A sessanta anni dalla sconfitta, il Giappone sembra aver dimenticato le promesse fatte allora: la pace come principio costituzionale, la rinuncia all’uso della forza, tre princìpi antinucleari (il divieto di possedere, fabbricare e utilizzare armi atomiche) Crede che il disastro attuale risveglierà una protesta consapevole? Quando il Giappone fu sconfitto io avevo 10 anni. Un anno dopo fu adottata la nuova costituzione e fu promulgata la legge-quadro sull’educazione nazionale, che riformulava in termini più semplici i princìpi della Legge fondamentale sulla materia. Nei dieci anni successivi alla sconfitta, mi sono sempre chiesto se il pacifismo costituzionale, col corollario del divieto all'uso della forza, e i tre principi antinucleari erano davvero fondamentali per il Giappone del dopoguerra. Se io, come adolescente avevo dei dubbi, a maggior ragione gli adulti avrebbero dovuto porsi la domanda. Nella realtà dei fatti, il Giappone ha progressivamente ricostituito l’esercito, autorizzando, grazie ad accordi segreti con gli Stati Uniti, l'introduzione di armi atomiche nell'Arcipelago; i principi antinucleari ,ufficialmente adottati, hanno perso di contenuto. Con questo non voglio dire che sono stati dimenticati gli ideali del periodo post-bellico. I Giapponesi conservano il ricordo delle sofferenze della guerra e delle bombe nucleari. Lo sguardo dei morti ci ha costretto a osservare quegli ideali. La memoria delle vittime di Hiroshima e Nagasaki oggi ci impedisce di guardare con distanza, in nome di un realismo politico, al pericolo rappresentato dalle armi nucleari. Non vogliamo che questo accada. E al tempo stesso, accettiamo il riarmo e l’alleanza militare con gli Stati Uniti. Eccola, l'ambiguità del Giappone di oggi. Nel corso degli anni, quest’ambiguità, risultato della coesistenza della Costituzione pacifista,del riarmo e dell’alleanza militare con gli Stati Uniti ,si è andata rafforzando, mancando il contenuto concreto al nostro impegno pacifista. L’assoluta fiducia che i giapponesi hanno nel potere deterrente degli Stati Uniti ha fatto dell'ambiguità del Giappone (paese pacifista sotto l'ombrello nucleare americano) il fulcro della sua diplomazia. Una fiducia, quella nel deterrente americano, che supera le divisioni politiche. Lo ha detto anche il primo ministro, Yukio Hatoyama, in occasione dell’anniversario, ( agosto 2010), del bombardamento di Hiroshima; il rappresentante americano aveva invece, lui, sottolineato piuttosto i pericoli della bomba atomica. Si può sperare che l'incidente alla centrale Fukushima riavvicinerà i giapponesi alle vittime di Hiroshima e Nagasaki, ricordando loro il pericolo del nucleare, del quale abbiamo di nuovo sotto gli occhi un tragico esempio; forse questo metterà fine all’illusione del potere dissuasivo delle armi nucleari. Nel titolo di un suo libro lei chiede "Insegnaci a superare la nostra pazzia", che risposta si darebbe oggi? Quando ho scritto quel libro avevo raggiunto l’età che si dice matura. Oggi sono nella cosiddetta terza età e sto scrivendo l‘ultimo romanzo. Se sopravvivrò a questa follia, il mio libro inizierà citando la frase con la quale termina l'Inferno di Dante : "E quindi uscimmo a riveder le stelle " |
sabato 26 marzo 2011
Kenzaburô Ôé, Premio Nobel per la letteratura : "Le vittime ci guardano"
Fonte:http://www.tlaxcala-int.org
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