martedì 18 gennaio 2011

A chi scoccia la nonviolenza

È emergenza persecuzioni contro i cristiani. La risposta alle persecuzioni non può e non deve essere l'occhio per l'occhio e il dente per dente della legge del taglione, invocata magari da una malintesa reciprocità.

Articolo di: Vittorio Cristelli
Foto di danielafenice.splinder.com
       

È emergenza persecuzioni contro i cristiani. Il 31 ottobre scorso l'attacco terroristico alla chiesa di Nostra Signora a Baghdad in Iraq, con 46 vittime. La vigilia e il giorno di Natale 86 cristiani trucidati in Nigeria. Il giorno di Capodanno 23 fedeli muoiono nella chiesa copto-ortodossa di Alessandria d'Egitto ad opera di un kamikaze.
Proprio su quest'ultimo caso voglio soffermarmi, perché rivela aspetti sorprendenti rispetto al clichè corrente secondo il quale si tratterebbe di violenze e odio endemici dei musulmani contro i cristiani. Notizie e reportage dalla stessa zona del massacro, riportate all'indomani dai giornali, descrivono una convivenza pacifica tra musulmani e cristiani che dura da secoli. [...] Monica Bulaj in un reportage su “Repubblica” scrive che in Egitto se vuoi liberarti dal male è dai cristiani che devi andare. E c'è la fila anche di musulmani ai monasteri cristiani per farsi esorcizzare. C'è di più, membri del gruppo religioso “Fratelli musulmani” hanno detto pubblicamente di essere pronti a far scudo con i loro corpi davanti alle chiese cristiane per scongiurare nuovi attacchi terroristici.
Ma allora è evidente che le persecuzioni contro i cristiani non nascono dall'Islam in sé, bensì dal fondamentalismo a cui fa ombra e scoccia la nonviolenza perché taglia l'erba sotto i piedi ad ogni estremismo. Ricompare qui quella malizia luciferina di cui parla la parabola evangelica degli operai dell'ultima ora e denunciata dal padrone della vigna quando chiede: “O tu sei cattivo perché io sono buono?”. Ditemi voi se non è il colmo della malizia essere cattivi perché altri sono buoni!
Ed è proprio questa la forza della nonviolenza che fa risaltare l'assurdità e la illogicità della violenza. Il prete filosofo Italo Mancini, trattando il tema della nonviolenza di cui il mahatma Ghandi fu il teorico e il testimone, la definiva “violenza ermeneutica”, nel senso che è lettura forte, inesorabile della realtà attraverso argomentazioni che evidenziano l'ingiustizia ma non imbracciano le armi. E forte appare in questo senso quella ragazza copta che, all'indomani dell'attentato alla sua chiesa, diceva: “Noi ci opponiamo al terrorismo pregando”. Affermazione che può suonare a qualcuno ingenua, ma che in realtà è una nuova definizione della nonviolenza.
Sul piano geo-politico però è da ricordare anche la teoria lanciata già nei primi anni Novanta da Samuel Huntington, che parla di “scontro di civiltà”. Una teoria che ha fatto scuola ai più alti livelli. Da essa infatti è nata la cosiddetta “dottrina Bush” all'indomani dell'attacco terroristico alle torri gemelle e che teorizza la “guerra infinita” non solo come risposta ad attacchi ma anche preventiva, E di scontro di civiltà si tratta anche per il fondamentalismo musulmano e per le scuole dei gruppi terroristici dove si formano i kamikaze. Nel cristianesimo vedono non solo una religione diversa ma l'intero Occidente nemico. È una trappola ideologica nella quale sono già cadute diplomazie, governi, e gruppi sociali con conseguenti strategie di sicurezza, di contrasto e di esclusione.
Non c'è caduto però Papa Wojtyla, che ha condannato la guerra in Iraq prima, durante e dopo. Né ci è caduto Benedetto XVI per il quale le minoranze religiose non sono insidie per la maggioranza, bensì opportunità di dialogo e di arricchimento culturale.
La risposta alle persecuzioni non può e non deve essere l'occhio per l'occhio e il dente per dente della legge del taglione, invocata magari da una malintesa reciprocità. Si ripropone così il ripudio della guerra e l'adozione di vie diplomatiche di protezione, ma anche la forza disarmante della preghiera.
Fonte: Vita Trentina
18 gennaio 2011

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